L’attuale situazione pandemica tiene impegnata la nostra attenzione, facendoci spesso dimenticare le cose su cui focalizzavamo in precedenza l’interesse: tra queste il rapporto tra religione e potere che, in altri tempi, all’interno dei movimenti, aveva un notevole rilievo. Da un lato, con maggiore risonanza mediatica, il “fascismo islamico” – come lo definiscono i compagni che ci hanno direttamente a che fare, ad esempio nel nord-est della Siria – dall’altro l’aspetto del fondamentalismo protestante presente negli Stati Uniti d’America, non solo nel suprematismo bianco esplicito ma anche nelle forme del potere politico d’oltreoceano; sono solo due esempi, di temi oramai residuali nel dibattito politico della sinistra antagonista. Tiene banco, a sprazzi, solo il pittoresco ma non per questo meno feroce Erdogan e la sua politica efferatamente classista, sessista e razzista basata ideologicamente su di un fondamentalismo religioso; anche in questo caso, però, l’attenzione dei movimenti è molto minore di un tempo e viene stimolata solo dal fatto che sul personaggio parlano i grandi media, mossi dal suo palese conflitto con i paesi occidentali.
Di là dell’attenzione dei movimenti, la disattenzione dei grandi media è stata evidente nel caso dell’assassinio, da parte di un immigrato naturalizzato francese spostatosi di recente verso il fascismo islamico, dell’impiegata del commissariato di un paese a sessanta chilometri da Parigi. Gli elementi perché la vicenda si mantenesse all’attenzione per molto tempo, come sarebbe accaduto in passato, c’erano tutti: assalitore sconosciuto ai servizi di sicurezza; il “suicide by cop”; l’individuo che passa improvvisamente da una vita normale all’atto terroristico; la giustificazione religiosa esplicita di matrice islamica; la “radicalizzazione” avvenuta tramite la Rete. Invece, la notizia è scomparsa dall’attenzione mediatica nel giro di 24 ore ed è mancato pressoché completamente ad essa il corredo di riflessioni degli “opinionisti” più o meno effettivamente competenti che avrebbe accompagnato, in altri tempi, una vicenda simile. Persino in un avvenimento che ha tenuto banco per molto più tempo, per ovvie ragioni di interesse dei grandi media verso gli eventi della “nazione guida” dell’Occidente – il “complotto dei cretini” che ha dato vita il 6 gennaio 2021 all’assalto a Capitol Hill – l’aspetto del fondamentalismo religioso da parte dei suoi esecutori legati al suprematismo bianco, pur palese, è stato sostanzialmente ignorato.
Di una tale disattenzione potremmo anche fregarcene altamente; il problema è che, come dicevamo, anche i movimenti di opposizione allo stato presente delle cose sembrano caduti nella stessa disattenzione verso un tema – i rapporti tra religione e potere – che, invece, non è affatto da sottovalutare, ieri come oggi. La pandemia con tutti i suoi addentellati è un dato estremamente importante – chi scrive ha fatto decine di articoli sul tema, molti su queste stesse pagine – ma non deve portarci a svalutare tutti gli altri aspetti del dominio gerarchico. La pandemia, almeno questa, sul breve/medio periodo finirà; gli altri dati sono immanenti allo stato di cose presenti e ci ritroveremo a doverli affrontare di sicuro.
Ma quale islamofobia…
Intenzionalmente abbiamo continuamente confrontato e messo sullo stesso piano il fascismo islamico e il fondamentalismo cristiano alla base del suprematismo bianco a stelle e strisce – avremmo potuto fare anche moltissimi altri esempi. Nonostante chi blatera a sproposito di “islamofobia” ogni qual volta si porta avanti una qualunque critica al fascismo islamico, rinunciare ad una presa di posizione chiara su di esso è una strada assai pericolosa, quella di credere che il nemico del mio nemico sia in un qualche modo un amico. È vero, i paesi occidentali industrialmente avanzati hanno una posizione egemonica e di fatto neocoloniale nei confronti dei popoli dei paesi a maggioranza islamica, per cui il fascino esercitato dalle forme politiche fondamentalistiche si spiega anche come forma di rivalsa nei confronti di un mondo sentito come “altro” e opprimente. Lo stesso, però, potrebbe dirsi, in una logica interna a una nazione, per i tanti proletari e sottoproletari statunitensi che aderiscono esplicitamente alle varie forme di fondamentalismo cristiano del suprematismo bianco, sentito anche qui come una forma di rivalsa verso le gerarchie politiche ed economiche del loro paese, non meno avvertite come “altre” e opprimenti.
Insomma, questa logica porta a due risultati micidiali: il primo di giustificare di fatto il classismo, razzismo e sessismo presenti in tali movimenti, l’altro di introiettare un criterio di giudizio, questo sì, colonialista, classista e razzista: quello che non si accetterebbe all’interno del proprio paese – ad esempio determinate forme di sessismo – lo si accetta all’interno di paesi di fatto colonizzati e/o di classi sociali subordinate e poco acculturate. Una logica che si nasconde dietro la difesa delle “identità culturali” oppresse – come se il superamento dell’attuale stato di cose in direzione di una società egualitaria non comportasse il superamento di ogni forma culturale gerarchica, di qualunque provenienza sia, nonché il superamento degli steccati etnici che impediscono il riconoscimento degli steccati di classe. L’esperienza del Rojava prima, e di Black Lives Matter, poi sono esemplari da questo punto di vista e indicano la giusta strada per il futuro.
Credenza nei fantasmi
Nella riflessione filosofica, il concetto più preciso e onnicomprensivo di “religione” l’ha sviluppato il pensatore della sinistra hegeliana Max Stirner.[1] L’etimo latino della parola è ancor oggi di difficile decifrazione, in ogni caso però restituisce il significato di un legame scelto da una comunità unita da una venerazione e da un senso di dipendenza verso uno o più oggetti in senso lato.[2] Quest’oggetto di venerazione, però, non può essere un oggetto empiricamente verificabile da tutti o, al massimo, se si tratta di un oggetto empirico, devono essergli attribuite proprietà non verificabili. Non è solo il Dio del cristianesimo ad essere “nascosto” nella sua essenza, lo è qualunque oggetto di religione che, come un fantasma, viene “visto” nel proprio spirito solo da chi ci crede, da chi ha “fede” in esso.
A questo punto, le religioni possono presentarsi non solo nei casi “tradizionali” ma in tutte le circostanze in cui un gruppo di persone crede nella realtà di un oggetto dalle caratteristiche empiricamente nascoste a chi non ci crede. Il “libero mercato” che porta il maggior benessere alla maggior parte dell’umanità, una “dittatura del proletariato” che porta al superamento del capitalismo e alla instaurazione di una società comunista o, in generale, la forma di governo che garantisca il benessere dei suoi sudditi non sono meno oggetto di culto religioso di Dio, Allah o Buddha: anche qui le loro pretese proprietà benefiche sono empiricamente inesistenti e “visibili” solo ai fedeli. Di qui la conclusione stirneriana per cui tutte le organizzazioni gerarchiche sono vere e proprie religioni, che utilizzano la loro credenza fantasmatica come strumento di dominio.
Religio(ne) è Potere
In che modo ogni genere di religioni, nel senso appena delineato, sono uno strumento di dominio? Nel momento in cui mascherano la realtà del dominio di classe e deviano l’attenzione degli sfruttati dalle gerarchie politiche e sociali cui sono sottoposti, spostandola verso l’“infedele”. Torniamo ai due esempi di partenza: il fascismo islamico e il suprematismo bianco statunitense. Non casualmente, entrambi: 1. credono di lottare contro la loro oppressione da parte di un mondo “infedele” nella sua interezza, compresi i potenti di quel mondo; 2. di fatto attaccano quasi sempre i poveri cristi come loro e praticamente mai agiscono contro i potenti della Terra 3. spesso e volentieri si fanno guidare da veri e propri miliardari, gli stessi responsabili o quanto meno corresponsabili delle loro misere condizioni (ogni riferimento a Osama Bin Laden e Donald Trump è intenzionale…).
Insomma, avere ben presente il rapporto tra religione e potere non è un vezzo di altri tempi: è, invece, uno dei punti di riferimento per qualunque movimento che intenda seriamente porsi il problema del superamento dell’attuale stato delle cose e della costruzione di una società davvero altra, dove tutti sono liberamente diversi e, proprio per questo, sono tutti uguali.
Enrico Voccia
NOTE
[1] STIRNER, Max, L’Unico e la sua Proprietà, Milano, Adelphi, 1979.